Dopo un lungo lavoro, tra le tantissime poesie arrivate, è stata designata la prima rosa delle poesie finaliste. La Giuria Tecnica formata da:
Prof.ssa Elena Diomede, Dott. Zaccaria Gallo, Poetessa Paola Lucarini, Dott. Onofrio Pagone, Prof. Gianni Antonio Palumbo, Prof. Agostino Giuseppe Picicco, Prof.ssa Giulia Poli Disanto, Prof.ssa Anna Santoliquido, Prof. Mario Sicolo, Prof.ssa Santa Vetturi,
annuncia che le poesie finaliste sono:
A Teresina Gallo di Onofrio Arpino
Fiorutura di Addolarata Laera
Lettera ad un Figlio di Maria Francesca Lisi
Nel corso del tempo di Zosi Zografidou
Terra madre di Antonella Vairano
Vecchie carte di Paolo Polvani
Vita viva di Roberta Carlucci
Le suddette Poesie finaliste saranno votate da una giuria popolare il 23 Giugno 2021 alle ore 20,30 presso l’istituto Vittorio Emanuele a Giovinazzo.
Dall’attuale rosa verranno eletti i vincitori del primo, secondo e terzo posto. Durante la serata verranno assegnate le Menzioni di merito per la poesia
L’ultimo canto di Concetta Antonelli
Ci vuole la vita di Dina Ferorelli
Ciò che non è mai vissuto di Laura Grazia Campanale
Ulivo di Fabio Posa
e il Premio Speciale di Gianni Antonio Palumbo – Direttore Artistico della Notte Bianca della Poesia
per la poesia Queen Mary’s Gardens di Alberto De Nucci
e di Nicola De Matteo – Presidente dell’Accademia
per la poesia Il mare invoca di Letizia Cobaltini.
Durante la serata interverà Elisa Barucchieri con la ResExtensa dance company
Le poesie finaliste saranno declamate dalle Lettrici della Associazione di promozione sociale L’Ora Blu
Mi sono accostato con timore e riverenza a questa silloge di Fabio Strinati perchè volevo cogliere il senso alto di uno scrittore marchigiano che si “avventura” a comporre versi ispirato dalla terra di Puglia. Dico subito che l’originalità del libro è la mancanza di titoli alle poesie. Nessuna ha un titolo o un numero indicativo, per cui appare come un continuo dialogare con i luoghi e la memoria. Strinati sa comunicare sensazioni preziose al lettore attento. Ed anche a quello distratto. La struttura del libro, di poco più di cento pagine, è omogenea e contempla l’intreccio di tante vicende individuali, spesso interrotte e poi riprese. La visione di stati d’animo e paesaggi in un continuo intersecarsi di piani temporali diversi eppure non distinti nelle forme verbali. Il procedere – lento – diventa ricco di suggestioni, non solo per i luoghi, ma per la natura, per gli animali contestualizzati (la volpe, la lepre scaltra, le cicogne bianche, la civetta…), in contorni reali che ne accentuano il fascino. E il nostro si lascia volentieri rapire: “Il canto della pioggia…che si propaga nell’armonico paesaggio”. Un altro tema del libro è l’amore. Esso ha nel cuore di Fabio Strinati un posto importante. L’ampiezza data all’argomento è da mettere in rapporto alle diverse situazioni che incontra percorrendo strade della memoria che diventano metafore della vita. Il verso, nitido e scabro, ha un respiro breve e mai franto e traduce bene l’animo sensibile del poeta. Si possono disteinguere diversi piani espressivi con un intreccio virtuoso di spunti lirici che, talvolta, incantano. Linsistenza lessicale, talvolta, riassume in sé la magia di quei luoghi che diventano segni di speranza: “Nel cielo aperto, le cicogne bianche nei sogni sconfinati, e quel pennello diàfano che volteggia nel riflesso dell’anima, s’apparta nel destino, abile creatura”. La Valle d’Itria diventa, quindi, luogo dell’anima “fra l’eterno e il tempo”, così come i ricordi di una giovinezza felice riflessa “in uno stagno” dove “rivedo la luna” in una sera che profuma di bosco e di amore.
Lo stile realistico ed essenziale, acquista un sapore favoloso e un senso storico che attira l’attenzione del lettore e in questo intravedo tracce dell’arte onesta dell’abruzzese Ignazio Silone che filtra amabilmente luoghi e personaggi attraverso la memoria. Fabio Strinati cerca in alcuni angoli di Puglia il senso di purezza che del vivere è segno di passione condito sempre da colori e suoni. Un rifugio dove coccolare la tenerezza e il silenzio, l’armonia e il respiro profondo del vivere. In alcuni passaggi mi ricorda la poetessa Lucana Anna Santoliquido nativa di Forenza: “fragile l’anima mia cerca il senso della vita per campi di malva e ortiche”. La poeta Santoliquido attinge a stati estetici intraducibili, per raggiungere verità più profonde, dice di lei la saggista Francesca Amendola in “Anima Mundi”.
Ebbene, non piglio d’avventura, Strinati si lancia inconsapevole tra Locorotondo che “gorgheggia umile” e Ceglie Messapica “dal biancore candido”, passando per Martina Franca “dalla voce che sa di tenerezza” e Selva di Fasano “che dà sui trulli e sulle grotte” e Cisternino “d’aria salùbre”. Ma non è un mero raccontare delle meraviglie di Puglia. Infatti in questa silloge ricorre il tema del viaggio e della riconciliazione con la vita e con l’amore: “E fu quel viaggio, in aprile, a ricucirmi al vento col meccanismo della fuga”. La posizione dell’io narrante, nella silloge, aiuta a riscoprire attimi di verità e la creazione poetica che accompagna l’autore viaggia lungo un filo sottile tra realtà e linguaggio. Quindi la riconquista degli spazi verso “l’autunno che si spalanca”. Spazio e tempo e luoghi e sentimenti si rincorrono e si incontrano e si intrecciano in una cornice incantevole come la Valle d’Itria. Del resto, al di là delle tecniche narrative, il percorso poetico è un viaggio dentro le passioni e, quindi, testimonianza.
Nicola De Matteo
Presidente dell’Accademia delle Culture e dei pensieri del Mediterraneo
21 Marzo 2021, Giornata mondiale dell a poesia, alcuni dei nostri poeti hanno voluto declamare le loro poesia e le poesia dei loro poeti preferiti, sulla pagina Facebook sulla pagina dell’accademia.
Oggi 8 marzo, Giornata internazionale dei Diritti della Donna pubblichiamo un racconto autobiografico di Marta Pisani
Negli anni ’50 l’Italia, appena uscita dal conflitto mondiale, si ritrova malconcia ma con tanta voglia di ricominciare. Il lavoro non manca per coloro che vogliono rimboccarsi le maniche, specialmente se disposti ad affrontare la lontananza dalla famiglia per rimettersi in sesto.
Nel mio paese, Molfetta, affacciato sul mare Adriatico, da tempi immemorabili, gli uomini si imbarcano sulle grandi navi che attraverso le rotte del Mediterraneo e l’Atlantico giungono ai porti commerciali di Rotterdam, Anversa, Amburgo.
E’ questa la soluzione migliore per ridare alle famiglie quella tranquillità economica perduta negli anni della guerra.
L’alternativa è l’emigrazione. Partono uomini con le valigie cariche di speranze, alla ricerca di “fortuna” in America, Argentina, Venezuela, luoghi ove si parlano lingue incomprensibili ed il futuro è una scommessa. Tutti alla ricerca di un riscatto ed un’opportunità di benessere, a fronte di lavori umilianti che mai avrebbero svolto nel proprio paese e condizioni di vita precari. Ogni genere di sacrificio, pur di sostenere le loro famiglie, nella speranza di ricongiungersi quanto prima.
Si calcola che nel decennio ’50 – ’60 siano partiti 5 mila uomini dalla mia città.
E le donne rimaste a casa come hanno affrontato la condizionedi capofamiglia?
Non hanno avuto bisogno di etichette, non hanno aspettato il movimento femminista degli anni ’70, nè riforme emancipatorie per dimostrare la propria autodeterminazione perchè il matriarcato è stata una caratteristica costante della nostra società.
Le donne, da sempre sole, si sono prese cura dei figli, hanno amministrato oculatamente il denaro, hanno saputo investirlo in beni immobili e duraturi, terreni, la prima casa ed eventualmente un’altra come rendita per la “vecchiaia”.
Con disinvoltura si recano in banca, seppur prive di titoli di studio, si districano ottimamente tra le molteplici forme di investimento, scelgono quelle più vantaggiose, contattano notai, avvocati, stipulano contratti ma non li sottoscrivono a proprio nome.
Già! Perché si fermano ad un passo dalla definizione?
E l’uomo, il maschio, come ha accettato tale intraprendenza?
Forse l’uomo molfettese ricopre un ruolo marginale rispetto alla donna? Nient’affatto!
L’uomo è sempre colui che porta i pantaloni in casa.
Il matriarcato è strisciante, si insinua tra le pareti domestiche, non viene sbandierato. Nell’intimità familiare la figura femminile emerge in tutta la sua abilità e risolutezza, per tornare a stare un passo indietro in pubblico; nell’ombra, padrona. Insomma, la coppia è fedele al vecchio adagio “il padrone sono io ma chi comanda è mia moglie”.
Ne sono stata personalmente testimone perché io sono la figlia e mia madre, la signora Lucrezia, è stata la moglie di un “imbarcato”. Con questo termine nel mio paese viene etichettata una vera e propria categoria lavorativa: quelli che, in ruoli diversificati, svolgono mansioni sulle grandi navi intercontinentali, dal comandante al nostromo, dall’ufficiale al semplice marinaio.
Mio padre è restato anche 14 mesi di fila lontano da casa, quando il suo lavoro lo ha portato sulle petroliere che dal Golfo Persico hanno attraversato gli oceani verso le Americhe e il Nord Europa.
E’ mia madre a prendersi cura della famiglia con doppia responsabilità poiché deve render conto al marito degli accadimenti talvolta drammatici che non sono certo mancati.
Una mia sorella, la “prima Marta”, a soli due anni, si ammala di meningite, non prontamente diagnosticata, e muore.
Io stessa, la “seconda Marta”, all’età di 14 anni, per un’errata diagnosi, rischio la vita e vengo salvata in extremis. Lucrezia è disperata non solo per il pericolo di perdere una figlia per la seconda volta, ma perchè dovrebbe darne conto al marito.
Per fortuna, questa volta, tutto va per il meglio.
Quarta di otto figli, la sua istruzione si ferma alla terza elementare perchè deve accudire ai fratelli più piccoli. Benchè sbagli i congiuntivi e non conosce la poetica di Dante, il romanzo di Manzoni o la scienza di Newton, sorveglia attentamente il precorso scolastico dei quattro figli con l’obiettivo di dare un’istruzione completa, foriera di migliore prospettiva di vita.
La signora Lucrezia gode di grande popolarità nel quartiere, la nostra casa è un porto di mare, perchè dispensa consigli alle donne della sua stessa condizione, specie nella gestione economica e nell’amministrazione della rendita mensile che giunge da lontano.
Ha il culto del risparmio e del riciclo, ogni cappotto, ogni vestito passa da una sorella all’altra, con un colletto diverso, una passamaneria, un fiocchetto a mascherarne l’età. Non è importante comprare molto ma ciò che è duraturo nel tempo. Provvede con occulatezza alle necessità, sorvola sul superfluo perché, ama ripetere, “del domani non si sa mai!”.
Sa tutto sui depositi bancari e già allora sfrutta la concorrenza tra i vari istituti di credito. Quando ha accumulato un bel gruzzoletto, lo investe nel “mattone”, bene rifugio al riparo da pericoli di inflazione.
Una donna energica, volitiva, sicura di sé, che sa gestire la vita familiare con capacità, sagacia, accortezza. Oggi la si definirebbe intraprendente, allora la si descriveva devota alla famiglia, fedele al marito lontano di cui salvaguarda la figura di capofamiglia e il tradizionale decisionismo maschile.
In questo delicato equilibrio c’è una sensibilità tutta femminile.
Mia madre, fiutato un affare, non se lo lascia sfuggire, valuta, mercanteggia, conclude, poi, alla stipula del contratto, convince la controparte all’attesa fino al ritorno di mio padre, il quale, senza che se ne renda conto, viene guidato a giudicare, ponderare, decidere su ….quello che è stato già deciso.
A firmare dal notaio ci va l’uomo cui viene cointestata la proprietà perchè, se ha “fatto” i soldi, la donna li ha giudiziosamente gestiti. Così viene salvaguardato l’onore del maschio e il rispetto della donna..
In casa il ruolo di pater familias è tenuto in gran conto: lo si aspetta perché sia presente in occasione della Prima Comunione, della Cresima dei figli, della prima visita del fidanzato, in tutti i momenti importanti della vita familiare.
Mia madre con grande maestria ha saputo rendere la figura paterna essenziale. Era naturale pensare a lui come ad una figura accessoria che provvedeva esclusivamente all’aspetto economico. Al contrario il papà ci appariva come colui che, con il suo modello di vita, sapeva comunicare valori quali il senso del dovere, l’onestà, la rettitudine, la lealtà, la dedizione alla famiglia, la forza degli affetti duraturi.
I rapporti tra padre e figli non sono stati sempre idilliaci, specie nell’adolescenza, l’”età del malessere”, perché mentre la mamma, seppur con difficoltà, si adegua al mutar dei costumi, il papà, colpa l’assenza, rimane ancorato ad una mentalità tutta tradizionale. E qui ella si fa mediatrice tra un passato che velocemente muore, travolto dalla televisione e dai nuovi orizzonti aperti sul mondo ed un presente foriero di trasformazioni.
E quindi? Si potrebbe definire mia madre e con lei la quasi totalità delle donne del nostro paese antesignane del femminismo ancor prima che questo fenomeno dilaghi? Penso proprio di sì. Non solo!
Avevano compreso già allora che la forma migliore di questo movimento non è quella dura, aggressiva, del detto “il corpo è mio e lo gestisco io”, ma quella moderata che non tradisce del tutto i caratteri della femminilità, la differenziazione dei ruoli nell’ambito della famiglia.
Mi piace concludere con le parole di Luigi Barzini. “Gli uomini dirigono il paese ma le donne dirigono gli uomini, l’Italia è in realtà un cripto-matriarcato”.
Ci troviamo in tempi in cui il mondo intero si aspetta che la scienza risolva l’emergenza epidemiologica, per cui il valore della cultura umanistica e in particolare la poesia e la voce dei poeti potrebbero apparire fuori luogo, ma è proprio così?
Nel contesto economico globale, oggi, sono le nuove tecnologie a procurare vantaggi alle economie nazionali. In tale quadro, purtroppo, il nostro Paese paga le carenze proprie di un modello di sviluppo con una bassa capacità innovativa. Il nostro resta uno dei Paesi a più elevato livello di reddito, siamo ancora il settimo produttore manifatturiero mondiale, ma gli indicatori essenziali evidenziano ritardi che pregiudicano le nostre potenzialità di crescita, occupazione e reddito.
Un notevole supporto per colmare i nostri ritardi, nella ricerca come nella digitalizzazione e in una economia a ridotte emissioni inquinanti, può provenire dalle risorse del programma Next Generation EU, altresì definito Recovery Fund. Questo piano dovrebbe essere la leva per rafforzare il nostro tessuto produttivo e le capacità della pubblica amministrazione, ha perciò un ruolo cruciale nel cambiare il contesto in cui operano le nostre imprese. Queste vanno poste in grado di rispondere efficacemente sia alle sfide del progresso tecnologico e della globalizzazione, sia a quelle che sfoceranno dalla crisi pandemica, i possibili mutamenti delle abitudini di consumo o dei modi di interazione sociale e di organizzare l’attività produttiva.
In tale quadro, un ruolo centrale, a detta degli esperti, deve rivestirlo il rafforzamento dell’istruzione. Un esiguo investimento nella conoscenza, l’insufficiente identificazione della sua importanza da parte della società e delle istituzioni rappresenta, secondo accreditata opinione, una delle ragioni del nostro progressivo declino di nazione. Tale conoscenza tuttavia va intesa in senso ampio, cioè vanno rimossi quegli steccati tra i saperi che limitano la crescita culturale delle vecchie come delle nuove generazioni. Il connotato essenziale è perciò superare una volta per tutte la barriera che separa la cosiddetta cultura umanistica da quella tecnico-scientifica, su cui oggi necessita investire.
Negli ultimi decenni, infatti, si è andato attenuando, non solo in Italia, quel dinamismo di fondo che negli ultimi due secoli era scaturito da valori come il bisogno di creare, la propensione a esplorare, il desiderio di affrontare nuove sfide. In poche parole, c’è necessità di riaffermare l’apertura verso l’innovazione per coltivare risorse quali creatività, curiosità e vitalità. Questo va realizzato proprio attraverso un programma di forte recupero dei riferimenti classici, per cui suscitano rammarico i dati sul regresso del ruolo riservato agli studi umanistici anche nelle più quotate università internazionali.
Suonano straordinariamente appropriate, nel contesto appena delineato, le parole con cui il 16 dicembre scorso Ignazio Visco, attuale Governatore della Banca d’Italia, ha concluso la sua Lectio Magistralis per l’Inaugurazione dell’Anno accademico 2020-2021 del Gran Sasso Science Institute.
Il Governatore Visco ha inteso sottolineare
voluto andare oltre, però, citando il singolare accostamento tra fisica e poesia compiuto da Leon Lederman, Premio Nobel per la fisica, insieme al collega Christopher T. Hill, nel loro testo “Fisica quantistica per poeti”. La massima carica della Banca Centrale, proseguendo, si è richiamato soprattutto alle parole di Carlo Rovelli, fisico, saggista e accademico, il quale nel suo “Ci sono luoghi al mondo dove più che le regole è importante la gentilezza” così scrive: «Poesia e scienza sono entrambe creazioni dello spirito che creano nuovi modi di pensare il mondo, per farcelo meglio capire. La grande scienza e la grande poesia sono entrambe visionarie, e talvolta possono arrivare alle stesse intuizioni. La cultura odierna che tiene scienza e poesia così separate è sciocca, secondo
me, perché si rende miope alla complessità e alla bellezza del mondo, rivelate da entrambe». Un omaggio di altissimo spessore accademico alla poesia, ma, soprattutto, una conferma che la riscoperta dello studio scientifico e insieme umanistico è la vera genesi del progresso umano e sociale, la
come la riscoperta dello studio, sia scientifico che
umanistico, rappresenti la vera radice del progresso umano e sociale. Visco è
vera solida condizione per uno sviluppo economico e il caposaldo per costruire il nostro futuro. In questo solco s’inserisce a pieno titolo come sigillo del connubio tra scienza e poesia un evento come ‘La Notte bianca della poesia’, ormai arrivata al decennio a cura dell’Accademia delle Culture e dei Pensieri del Mediterraneo, simbolo al tempo della dichiarata contiguità di cultura umanistica e scientifica
Se poesia e scienza sono due mondi separati…
Avv. Francesco Antonio Schiraldi
Segretario Generale Accademia delle Culture e dei Pensieri del Mediterraneo
Parte da Giovinazzo la decima edizione della kermesse letteraria “Notte Bianca della Poesia” che per esigenze di distanziamento sociale è stata programmata in tre giornate consecutive – il 4 e 5 settembre a Giovinazzo ed il 6 settembre a Molfetta – al fine di ospitare i tanti poeti provenienti da Puglia e Basilicata. In data 4 settembre 2020 a Giovinazzo sarà l’antico maniero eretto dai Padri Domenicani nel 1704, meglio conosciuto come Istituto Vittorio Emanuele II, ad accogliere questa edizione, che si avvale del prestigioso patrocinio del Ministero per i Beni Culturali, Ambientali e Turistici (MIBACT). Alle ore 19.00, l’inaugurazione sarà affidata al soprano Marilena Gaudio che interpreterà un bellissimo canto d’amore di Federico Garcia Lorca e musiche di Giuliani, Modugno e De Curtis, accompagnata dal chitarrista Nino Maddoni.Lucia Diomede aprirà inoltre con letture di testi di Montale e Bodini. A seguire la poesia della rubrica Riflessi di Luce e Vita di Molfetta (moderata da Susanna de Candia), dell’Associazione Falegnami della Poesia di Barletta (presieduta da Paolo Polvani), Mò Heart di Bitonto (da Damiano Bove) e Virtute e Canoscenza di Bari (da Santa Vetturi) e di alcuni scrittori non legati ad alcun gruppo e accomunati dal format Poesia in festa. Nel corso della serata ci sarà un omaggio a Ennio Morricone della Brass Ensemble “Il Cenacolo” di Bisceglie diretta dal Maestro Salvatore Barile.
Si replica sabato 5 settembre 2020 sempre a Giovinazzo, sempre all’IVE. Alle 19.00, esibizione musicale di Michele Fiorentino (tromba) e reading di Poesia in festa. A seguire l’Accademia della Lingua Barese “Alfredo Giovine”, con liriche e poesie dialettali di diverse città della provincia di Bari e Bat, coordinati da Felice Giovine. Prima della conclusione dei poeti liberi e dell’Associazione “In Folio” di Ruvo di Puglia (di cui presidente è Elisabetta Stragapede), ci saranno intermezzi musicali del duo composto da Tommaso La Notte (voce e chitarra) e Orazio Saracino (pianoforte). Infine, un momento spettacolare di teatro e Poesia: “Dal Buio alla Luce”, a cura dell’ASD Archè di Bari, coordinato dalla psicologa Olympia Binetti.
Conclusione domenica 6 settembre 2020 presso l’Anfiteatro di Ponente di Molfetta, nell’ambito del cartellone di Eventi Molfetta 2020, curato dall’Assessore alla Cultura, Sara Allegretta. I poeti dell’Associazione “Matera Poesia”, coordinati da Maria Antonella d’Agostino, saranno accompagnati dalle note musicali della Brass “Il Cenacolo” di Salvatore Barile. Successivamente l’Associazione “L’Ora Blu” di Bisceglie presieduta da Marta Maria Camporeale reciterà testi di Ghiannis Ristos, sotto la supervisione e regia di Zaccaria Gallo, e presenterà i testi di alcune poetesse. A seguire il Movimento Internazionale “Donne e Poesia” di Anna Santoliquido proporrà una performance poetica sull’energia della parola, in cui è incluso un omaggio a Mariolina De Fano. Sarà poi la volta di “Poesie da Gustare” dell’associazione “Comunicazione Plurale” di Elena Diomede. Nel corso della serata, esibizione musicale di Claudia Lops (flauto) e Vito Vilardi (chitarra). La conclusione sarà affidata a un suggestivo momento di Danza con la Compagnia ResExtensa di Elisa Barucchieri. Alla Notte Bianca della Poesia parteciperanno 132 poeti, 12 Associazioni Culturali (tra cui il bitontino Cenacolo dei Poeti di Nicola Abbondanza, che ha offerto la sua collaborazione sul piano logistico), 22 musicisti, 4 lettori (Lucia Diomede, Zaccaria Gallo, Leonardo Mezzina e Adriana Zanna), una cantante lirica e una compagnia di Danza moderna. Tutte e tre le serate saranno presentate da Angela Di Liso e Gianni Antonio Palumbo (riconfermato per il terzo anno consecutivo Direttore Artistico della Manifestazione di poesia). Ingresso libero fino a esaurimento dei posti con obbligo di registrazione, sanificazione delle mani, misurazione della temperatura e mascherine indossate. Oltre al Mibact, la Notte Bianca della Poesia si avvale del Patrocinio della Regione Puglia “Custodiamo la Cultura”, della Città Metropolitana di Bari, della Città di Giovinazzo e della Città di Molfetta.